FELICITA’
Ritenendola significativa (se si pensa che ci riferiamo ad oltre duemila anni fa!), si riporta in formato ridotto la lettera inviata da Epicuro ad un certo Meneceo : (A)
“Meneceo,
Non si è mai troppo giovani o troppo vecchi per la conoscenza della felicità. A qualsiasi età è bello occuparsi del benessere dell’anima. Chi sostiene che non è ancora giunto il momento di dedicarsi alla conoscenza di essa, o che ormai è troppo tardi, è come se andasse dicendo che non è ancora il momento di essere felice, o che ormai è passata l’età. Da giovani come da vecchi è giusto che noi ci dedichiamo a conoscere la felicità. Per sentirci sempre giovani quando saremo avanti con gli anni in virtù del grato ricordo della felicità avuta in passato, e da giovani, irrobustiti in essa, per prepararci a non temere l’avvenire. Cerchiamo di conoscere allora le cose che fanno la felicità, perché quando essa c’è tutto abbiamo, altrimenti tutto facciamo per averla…Poi abituati a pensare che la morte non costituisce nulla per noi, dal momento che il godere e il soffrire sono entrambi nel sentire, e la morte altro non è che la sua assenza. L’esatta coscienza che la morte non significa nulla per noi rende godibile la mortalità della vita, togliendo l’ingannevole desiderio dell’immortalità…
Non esiste nulla di terribile nella vita per chi davvero sappia che nulla c’è da temere nel non vivere più. Perciò è sciocco chi sostiene di aver paura della morte, non tanto perché il suo arrivo lo farà soffrire, ma in quanto l’affligge la sua continua attesa. Ciò che una volta presente non ci turba, stoltamente atteso ci fa impazzire. La morte, il più atroce dunque di tutti i mali, non esiste per noi. Quando noi viviamo la morte non c’è, quando c’è lei non ci siamo noi. Non è nulla né per i vivi né per i morti. Per i vivi non c’è, i morti non sono più. Invece la gente ora fugge la morte come il peggior male, ora la invoca come requie ai mali che vive.
Il vero saggio, come non gli dispiace vivere, così non teme di non vivere più. La vita per lui non è un male, né è un male il non vivere. Ma come dei cibi sceglie i migliori, non la quantità, così non il tempo più lungo si gode, ma il più dolce. Chi ammonisce poi il giovane a vivere bene e il vecchio a ben morire è stolto non solo per la dolcezza che c’è sempre nella vita, anche da vecchi, ma perché una sola è l’arte del ben vivere e del ben morire. Ancora peggio chi va dicendo: bello non essere mai nato, ma, nato, al più presto varcare la porta dell’ Ade. Ricordiamoci poi che il futuro non è del tutto nostro, ma neanche del tutto non nostro. Solo così possiamo non aspettarci che assolutamente s’avveri, né allo stesso modo disperare del contrario. Così pure teniamo presente che per quanto riguarda i desideri, solo alcuni sono naturali, altri sono inutili, e fra i naturali solo alcuni quelli proprio necessari, altri naturali soltanto. Ma fra i necessari certi sono fondamentali per la felicità, altri per il benessere fisico, altri per la stessa vita.
Una ferma conoscenza dei desideri fa ricondurre ogni scelta o rifiuto al benessere del corpo e alla perfetta serenità dell’animo, perché questo è il compito della vita felice, a questo noi indirizziamo ogni nostra azione, al fine di allontanarci dalla sofferenza e dall’ansia. Una volta raggiunto questo stato ogni bufera interna cessa, perché il nostro organismo vitale non è più bisognoso di alcuna cosa, altro non deve cercare per il bene dell’animo e del corpo. Infatti proviamo bisogno del piacere quando soffriamo per la mancanza di esso. Quando invece non soffriamo non ne abbiamo bisogno.
Per questo noi riteniamo il piacere principio e fine della vita felice, perché lo abbiamo riconosciuto bene primo e a noi congenito. Ad esso ci ispiriamo per ogni atto di scelta o di rifiuto, e scegliamo ogni bene in base al sentimento del piacere e del dolore. E’ bene primario e naturale per noi, per questo non scegliamo ogni piacere. Talvolta conviene tralasciarne alcuni da cui può venirci più male che bene, e giudicare alcune sofferenze preferibili ai piaceri stessi se un piacere più grande possiamo provare dopo averle sopportate a lungo. Ogni piacere dunque è bene per sua intima natura, ma noi non li scegliamo tutti. Allo stesso modo ogni dolore è male, ma non tutti sono sempre da fuggire.
Bisogna giudicare gli uni e gli altri in base alla considerazione degli utili e dei danni. Certe volte sperimentiamo che il bene si rivela per noi un male, invece il male un bene. Consideriamo inoltre una gran cosa l’indipendenza dai bisogni non perché sempre ci si debba accontentare del poco, ma per godere anche di questo poco se ci capita di non avere molto, convinti come siamo che l’abbondanza si gode con più dolcezza se meno da essa dipendiamo. In fondo ciò che veramente serve non è difficile a trovarsi, l’inutile è difficile.
I sapori semplici danno lo stesso piacere dei più raffinati, l’acqua e un pezzo di pane fanno il piacere più pieno a chi ne manca. Saper vivere di poco non solo porta salute e ci fa privi d’apprensione verso i bisogni della vita ma anche, quando ad intervalli ci capita di menare un’esistenza ricca, ci fa apprezzare meglio questa condizione e indifferenti verso gli scherzi della sorte. Quando dunque diciamo che il bene è il piacere, non intendiamo il semplice piacere dei goderecci, come credono coloro che ignorano il nostro pensiero, o lo avversano, o lo interpretano male, ma quanto aiuta il corpo a non soffrire e l’animo a essere sereno.
Perché non sono di per se stessi i banchetti, le feste, il godersi fanciulli e donne, i buoni pesci e tutto quanto può offrire una ricca tavola che fanno la dolcezza della vita felice, ma il lucido esame delle cause di ogni scelta o rifiuto, al fine di respingere i falsi condizionamenti che sono per l’animo causa di immensa sofferenza. Di tutto questo, principio e bene supremo è la saggezza , perciò questa è anche più apprezzabile della stessa filosofia, è madre di tutte le altre virtù. Essa ci aiuta a comprendere che non si dà vita felice senza che sia saggia, bella e giusta, né vita saggia, bella e giusta priva di felicità, perché le virtù sono connaturate alla felicità e da questa inseparabili.
Chi suscita più ammirazione di colui che ha un’opinione corretta e reverente riguardo agli dei, nessun timore della morte, chiara coscienza del senso della natura, che tutti i beni che realmente servono sono facilmente procacciabili, che i mali se affliggono duramente affliggono per poco, altrimenti se lo fanno a lungo vuol dire che si possono sopportare ? Questo genere d’uomo sa anche che è vana opinione credere il fato padrone di tutto, come fanno alcuni, perché le cose accadono o per necessità, o per arbitrio della fortuna, o per arbitrio nostro. La necessità è irresponsabile, la fortuna instabile, invece il nostro arbitrio è libero, per questo può meritarsi biasimo o lode.
Piuttosto che essere schiavi del destino dei fisici, era meglio allora credere ai racconti degli dei, che almeno offrono la speranza di placarli con le preghiere, invece dell’atroce, inflessibile necessità. La fortuna per il saggio non è una divinità come per la massa – la divinità non fa nulla a caso – e neppure qualcosa priva di consistenza. Non crede che essa dia agli uomini alcun bene o male determinante per la vita felice, ma sa che può offrire l’avvio a grandi beni o mali.
Però è meglio essere senza fortuna ma saggi che fortunati e stolti, e nella pratica è preferibile che un bel progetto non vada in porto piuttosto che abbia successo un progetto dissennato. Medita giorno e notte tutte queste cose e altre congeneri, con te stesso e con chi ti è simile, e mai sarai preda dell’ansia. Vivrai invece come un dio fra gli uomini. Non sembra più nemmeno mortale l’uomo che vive fra beni immortali.”
La felicità: termine di assoluta relatività, nel senso che il concetto è strettamente personale. Se si chiede a più persone la propria definizione di felicità, facilmente si otterranno altrettante risposte. In relazione al campione che si sarà scelto, alcune risposte presenteranno elementi in comune, altre appariranno subito decisamente superficiali. Molto in generale quali risposte attendersi? Dai quindicenni e +: Essere più belli- Essere sempre alla moda-Essere indipendenti-Trovare il principe azzurro; Dai venticinquenni e + :Trovare una sistemazione lavorativa- Possedere una bella auto- Potersi creare una famiglia- Potere comprare la casa; Dai trentacinquenni e + : Incrementare le possibilità di guadagno mettendosi in proprio o assumendo incarichi importanti- Sognare la scalata nella società- Acquistare auto e beni prestigiosi- Acquisire potere o prestigio o successo; Dai sessantenni e + : Avere la possibilità di ritirarsi dal lavoro- Stare bene in salute- Stare bene con se stessi- Vedere i figli stare bene e realizzati e godersi i nipotini; Dagli ultra ottantenni: Non essere di peso ad alcuno- Vedersi circondati da affetto sincero- Non avere rimorsi- Potere morire serenamente.
Evidentemente ognuno, in relazione all’età, allo status sociale, all’ambiente, al proprio bagaglio da dna, ma anche al contesto temporale ha sogni, aspirazioni, speranze ed anche la propria ricetta/formula della felicità. Può stupire quanto si vuole, ma i tantissimi minus habens, handicappati psichici e menomati fisici che, con una forza e tenacia senza pari, sono riusciti a compiere dei veri miracoli raggiungendo traguardi incredibili per esempio in campo artistico ed in quello sportivo, non possono non insegnarci che con la volontà si riescono a fare prodigi ed a raggiungere la personale felicità! E per gli stupidi e gli ignoranti: lungi dal pensare che non siano felici. E’ un’enorme bestialità! Proprio in forza del loro status, sia stupidi che ignoranti hanno la loro idea di felicità! Quale è? Chiedetegliela. Comunque la voglia definire “a freddo” chi non l’avesse ancora conseguita, è da valutare cosa sarebbe disponibile a fare perché ciò avvenisse (sempre che l’obbiettivo fosse realmente perseguibile: un nano non può certo sperare di diventare un asso del basket o un centometrista, sarebbe preferibile che aspirasse a diventare un fantino fenomenale). La felicità infatti non è un regalo che viene donato a chi è più fortunato, ma è qualcosa di più complesso ed anche più semplice. La felicità è uno stato d’animo, permanente, è armonia, è autostima, è realizzazione, è pace interiore, è amore. Ma è sempre immateriale. E la si deve conquistare, guadagnare, costruire con cura. Sarà felice solo chi lo vorrà fortemente.
Chi identifica la felicità con il benessere personale può rivedersi quanto espresso al paragrafo “DNA”.
E comunque, nel rispetto del sentimento originario,l’egoismo, in tanti ritengono che la felicità sia assimilabile al benessere materiale, tanti altri perseguiranno quello spirituale, alcuni staranno bene a fare bene, altri a fare male, alcuni saranno felici della loro ricchezza o intelligenza o cultura o bellezza, altri si soddisferanno con l’invidia. Non esisterà mai una formula universale finché l’uomo non diventerà automa.
Non bisogna confondere però la felicità con la felicità temporanea, o succedaneo della felicità! Anzi è più facile non raggiungere mai la felicità permanente ed avere invece la possibilità di godere di quegli attimi deliziosi che rendono la vita più frizzante e che lasciano traccia nel proprio archivio emozionale: i piaceri. Tra questi attimi non occorre sforzarsi di inserire necessariamente quelli esaltanti, quelli gioiosi, quelli eccitanti o semplicemente positivi, ma anche quelli non negativi. Pochi esempi per tutti: quando si è costretti a subire un intervento chirurgico da cui non si sa se si uscirà vivi e quando qualche giorno dopo si apprende la notizia che è tutto andato bene e la vita tornerà come prima; quando, immobilizzati a letto con seri problemi e con l’incertezza del domani, si ha bisogno di cure, ma non c’è nessuno che comprenda, che conforti, che aiuti, e invece improvvisamente appaiono gli angeli: parenti, amici, anche persone che non si immaginava, che allontanando lo spettro della terribile solitudine, fanno ritornare il sorriso.
Da ricerche effettuate da studiosi sul cervello sarebbe emersa l’esistenza di sei stili emozionali: 1) la capacità di ripresa da eventi traumatici; 2) la capacità di mantenere uno stato di ottimismo; 3) la capacità di capire in anticipo i pensieri e le intenzioni del prossimo; 4) la reazione ad eventi esterni in relazione al contesto; 5) l’autoconsapevolezza; 6) la capacità di concentrazione. L’armonioso equilibrio di tutti gli stili porterebbe alla felicità, mentre un eccesso in più o in meno anche di un solo stile creerebbe problemi. E’ facile ipotizzare che la felicità derivi in parte dal patrimonio genetico di cui ognuno dispone (secondo alcuni studi influirebbe per il 50%), in parte dalle condizioni socio economiche, culturali, ambientali, religiose.
Uno studio inglese ad esempio ha messo in evidenza la stressa connessione tra ottimismo e felicità; che metà della felicità deriva dal dna, metà da stile di vita e relazioni socio economiche.
Uno studio americano ha messo in rilievo il concetto contrario, cioè che essere felici può modificare il dna.
La ricerca scientifica più completa ( avviata nel 1938 e tuttora in corso!) ha posto in rilievo invece i diversi meccanismi di difesa umana dinanzi alle difficoltà presenti o pregresse. I meccanismi positivi sono il primo basato sull’empatia con cui avviamo rapporti con gli altri, il secondo che è invece indifferente a questi. Il primo si dimostra che funziona sempre. I meccanismi che non funzionano sono l’aggressività, la tendenza ad incolpare sempre gli altri, l’abitudine a lamentarsi, la tendenza a costruirsi immagini di fantasia delle persone.
Il quadro finale che personalmente ne ho tratto è quello di attribuire ottime chances alla predisposizione all’ottimismo ed all’affetto ricevuto nei primi anni di vita.
Per quanto riguarda il collegamento con l’egoismo: anche in questo caso non è difficile dimostrare che è egoista sia chi è felice sia chi non lo è. E’ umano che il felice sia egoista, forse la felicità gli sarà piovuta dal cielo, forse l’ha conquistata con sacrifici e perseveranza: di certo non ci rinuncerà. Chi felice non è o ritiene di non esserlo, nel suo status di attesa o di ricerca, si consolerà tentando di conseguire più felicità temporanee che lo gratifichino, ed ove non riconoscesse neanche queste, nel suo status di disperazione, starebbe bene autocommiserandosi.
AFORISMI
Tra chi ha, chi è e chi crede di essere, forse solo quest’ultimo vincerebbe il concorso della felicità
Apprezzare la vita è: Ascoltare attentamente- Mangiare lentamente- Parlare scientemente- Respirare profondamente- Ridere gioiosamente
Per fare grandi cose bastano piccole cose: con un pezzo di pane si può sfamare un bimbo; con un respiro si può salvare un moribondo; con un bacio si può regalare la felicità